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aprile 1982 alle ore 10, il motopeschereccio "Ombretta", comandato
da Del Monte Cosimo lasciò la banchina per iniziare la pesca.
Direzione 70°, dall'ingresso del porto. Dopo aver percorso circa 24
miglia dalla costa iniziò le manovre per mettere la rete in mare.
Come faceva solitamente, chiamò per radio l'Angelo Padre che doveva
avere già iniziato la giornata di pesca, ma, con suo stupore, non
ebbe alcuna risposta. Più tardi riprovò, ma ancora una volta senza
esito. Alle ore 16, al traverso di Tortoreto, a circa 29 miglia
dalla costa, la sua attenzione venne attratta da un salvagente
anulare, ma poiché aveva iniziato a pescare ed essendo abbastanza
lontano non si preoccupò di recuperarlo, pensando che fosse stato
perduto da qualche peschereccio.
Dopo poco
tempo, mentre si trovava a circa 25 miglia, sempre al traverso di
Tortoreto, vide in mare un altro anulare. Intanto tutte le
imbarcazioni che erano uscite per la pesca cominciavano a chiedere
notizie dell'Angelo Padre perché il suo silenzio radio era ormai un
triste presagio. Scattò l'allarme e le autorità marittime iniziarono
la ricerca. Il motopeschereccio "Picenia Prima" faceva sapere, via
radio, che l'Angelo Padre, all'uscita dal porto, aveva rotta 90° e
45' ed aveva compiuto almeno tre ore di navigazione. Su questa
notizia tutti i pescherecci cercarono di portarsi nella zona dove
era stato avvistato l'ultima volta l'Angelo Padre per dare aiuto ai
mezzi della capitaneria. Ma le ricerche non diedero alcun esito;
ormai tutta la marineria giuliese era impegnata nelle operazioni
per conoscere la sorte toccata all'equipaggio del peschereccio
scomparso. La mattina del 10 aprile, verso le 6, alcuni pescherecci
si erano disposti a ventaglio per ispezionare una maggiore
superficie marittima, con l'aiuto di un rampino assicurato ad un
cavo d'acciaio per sondare il fondale.
Dopo quattro
ore di navigazione, Cesare Ariozzi, comandante del "Viviana", notò
una macchia oleosa e decise di portarsi in quella direzione. Giunto
in prossimità della stessa avvertì che il cavo faceva resistenza,
perché evidentemente il rampino si era impigliato Arrestò quindi i
motori e mise in tiro il cavo posizionandovi una boa, in modo da
segnalare la posizione. D'altronde si accorse che dal fondo
continuava a venire a galla della nafta, avendo con ciò la certezza
che in quella zona doveva giacere il peschereccio.
Avvisati via
radio, si portarono sul luogo altri pescherecci che piazzarono altre
boe per individuare bene la zona. Ormai era chiaro che l'Angelo
Padre giaceva in fondo al mare, a circa 90 metri di profondità.
L'emozione fra la gente del mare e in tutta la popolazione di
Giulianova fu enorme. Si moltiplicavano le pressioni alle autorità
per il recupero del relitto, nella speranza di riportare a terra i
corpi dei poveri marinai. Finalmente la Regione Abruzzo mise a
disposizione una somma sufficiente per avviare l'ispezione del
relitto. Fu incaricata la ditta SSOS SUB SEA OIL SERVICE di Roma,
specializzata in operazioni di questo tipo.
Il 19 giugno
un'imbarcazione della stessa società, con a bordo anche il
comandante della capitaneria Domizio Scilli ed il delegato del
comune di Giulianova Massimo Camponi, si portò sul luogo
dell'affondamento. Un piccolo mezzo subacqueo si immerse, dotato di
apparecchiatura fotografica, braccio aggancio e braccio manipolare.
L’ispezione realizzata, documentata peraltro dal servizio
fotografico confermò che il relitto era quello dell'Angelo Padre, ma
dei corpi degli uomini di equipaggio non vi era alcuna traccia.
Dall'analisi fotografica dei danni visibili sullo scafo si potè
avanzare l'ipotesi di uno speronamento da parte di una imbarcazione
di notevoli dimensioni, ma a tutt'oggi non esistono certezze al
riguardo.
L’equipaggio
dell'Angelo Padre era composto da Marchetti Gabriele, Gualà Nicola e
dal figlio Giuseppe di soli 19 anni."