Non c'è nulla di più libero e più romantico di un marinaio, dice
Corto Maltese attraverso il tratto di Hugo Pratt.
Non c’è nulla
di più intenso della salsedine che insieme al grasso dei motori si
cementifica tra le rughe della pelle bruciata dal sole e rende
inconfondibile l’odore di un pescatore. Un odore che racconta la
vita di un’intera costa, che dal mare riceve la vita, il lavoro,
l’amore; a volte anche la morte. Sì, perché di mare si può anche
morire. Sono oltre 50 i pescatori d’Abruzzo che negli ultimi 70 anni
sono scomparsi mentre davano di che vivere alle loro famiglie: il
più anziano aveva 72 anni, il più giovane appena 19. Secondo le
informazioni ottenute incrociando i dati degli archivi dei sinistri
della direzione marittima di Pescara, i racconti dei vecchi «lupi»
interpellati sulle banchine, le ricerche su internet e i nomi
ricordati sulle lapidi nei porti abruzzesi, le cause più comuni di
morte, quando non ci si mette la burrasca, sono errori umani o
malori durante le operazioni di pesca. Fino a venti anni fa, ad
esempio, era tipico restare impigliati nei calamenti e venire
trascinati a mare. Ai vivi non resta altro che dedurre la dinamica
dell’incidente, visto che quasi sempre ne è il mare l’unico
testimone. È il caso di Carmine, il primo pescatore che si ricordi
scomparso in acque giuliesi, di cui nessuno conosce il cognome
perché la comunità del mare funziona per soprannomi e non per
anagrafe: il suo era «lu silvarol», infatti era di Silvi. Nel 1942
la sua piccola barca tornò in porto senza di lui, con la rete tirata
in coperta e i granchi ancora vivi. Per una manovra sbagliata a
bordo durante normali funzioni di pesca o di controllo sono morti
cadendo in mare anche Carmine Vianale, Adriano Zizzi ed Emidio
Speziale di Pescara; Mario Granato e Umberto Marà di Giulianova;
Aldo Mazzone, di Silvi; Franco Maggitti, di Tortoreto; Mario Vastano,
di Pescara; gli ortonesi Marco Giardinelli e Christian Boccardo,
rovesciati al largo di Punta Cavalluccio durante la pesca a
strascico nel 1997. Ernano Capriotti, giuliese, nel 1980 ebbe
probabilmente un incidente con i rampini dei “rapidi” usati per la
pesca delle sogliole e il suo corpo fu ritrovato quattro giorni dopo
la sua barca, vuota.
C’è chi poi è stato tradito dalla burrasca, come Raffaele
Nazionale, di Cologna, che dopo il naufragio della «Rosa Di Anzio» e
dopo aver salvato il figlio Orlando morì nel trasporto in ospedale,
lasciando la moglie incinta dell’ottavo figlio; o come Umberto
Palestini, di Giulianova, sorpreso dalla tempesta insieme ad altri
11 uomini su un motopeschereccio di San Benedetto su cui era di
«passaggio»; o Gabriele Paolini di Ortona, Pietro Pierluigi,
Salvatore Calise e Luigi Marini di Martinsicuro, inabissatisi
cercando riparo dal maltempo. Domenico Di Rocco di Silvi, Franco Di
Rocco di Pescara, e Nicola Cipollone, molisano ma residente a
Pescara, affondarono con i motopesca «Disco volante» e «Miranda»:
quest’ultimo riposa sul fondo dell’Adriatico a quasi 4 miglia a nord
del porto di Pescara. Sono stati sbalzati fuori dalle loro barche
persino marinai esperti come Donato Cartone di Giulianova; Romano
Ferrari e Bruno Sciarra di Pescara; Antonio Serafini e Renato Di
Tollo ad Ortona.
Ci sono poi incidenti imprevedibili, come quello dei sette
pescatori che furono uccisi nel 1948 da una mina vagante tirata su
con le reti dai loro due natanti durante la «pesca volante»:
Giustino Barberi, Giovanni Mazza, Antonio e Domenico Padovani,
Orazio Palestini, Mario Renzetti e Guido Romano, tutti di Pescara. O
come l’affondamento del «Rita Evelin», nel 2006, la cui rete
probabilmente si incagliò sul fondale: fra i membri dell’equipaggio
c’era anche Luigi Lucchetti, di Martinsicuro.
Ci sono infine figli d’Abruzzo salpati per altri mari e da
altri mari inghiottiti. Sono i casi di Mario Costantini, pescarese
ma accasato a Giulianova, che salpò con la Genepesca e cadde
nell’Atlantico; e dei giuliesi Umberto Fortunato e Giancarlo Cirilli,
il primo colto da un malore a Livorno nel risolvere un guasto
all’elica, il secondo intrappolato nella sala macchine di un
motopeschereccio ribaltatosi per eccesso di carico in Liguria.
Si pensa che il
«Martinsicuro II» sia naufragato in acque sarde perché speronato da
un altro mercantile, uccidendo Domenico Di Felice e Bruno Ferretti
di Martinsicuro insieme a due marchigiani. E si pensa anche che un
grosso peschereccio abbia trascinato a fondo, impigliandosi nelle
sue reti, il «Freccia nera» che pescava al largo di Giulianova,
determinando la morte dei giuliesi Lorenzo e Giorgio Serafini, padre
e figlio; e che una grande nave abbia speronato e affondato
l’«Angelo padre» di Cologna, trascinando con sé i giuliesi Gabriele
Marchetti e Nicola e Giuseppe Gualà, padre e figlio anche loro.
Supposizioni, perché un colpevole non è stato mai individuato. Di
cause sconosciute parlano i registri di Pescara per la sparizione
dell’«Ida Elisabetta» di Vasto, con a bordo Domenico D’Adamo, e per
il battello che rovesciandosi al largo di Roseto portò con sé
Gabriele De Luca e Dino Balduini, del Teramano.
La
legge sulla sicurezza sul lavoro obbliga i muratori a indossare il
casco e le imbracature ma non obbliga i pescatori a indossare i
giubbotti di salvataggio. Solo a tenerli in barca. Devono essere
perciò le centinaia di marinai abruzzesi che ogni giorno vanno a
lavorare a farsi garanti della propria sicurezza. «Il 90% degli
incidenti mortali che avvengono in mare – spiega il comandante
Pietro Verna della direzione marittima di Pescara – è riconducibile
ad errori umani. Paradossalmente è la troppa esperienza ad indurre a
qualche negligenza, eppure è buona prassi indossare i giubbotti di
salvataggio almeno mentre si salpa e si attracca, o quando c’è
maltempo. Senza il giubbotto, ad esempio, è molto più difficile
venire avvistati in acqua dagli ATR che sorvolano sì lo specchio
d’acqua a 500 metri, ma pur sempre ad una velocità di ricerca di 250
Km/h; inoltre, se si sviene, si resta a galla».
Un
errore comune è sfidare la stanchezza e le intemperie per troppa
competitività, per arrivare dove gli altri pescatori non arrivano,
quando invece la settimana lavorativa del marittimo non deve
superare le 72 ore. » sempre valido il monito delle nonne di fronte
al rischio di congestione: si dice che fu questa, ad esempio, la
causa della morte del pescarese Libero Ferraccione, tuffatosi in
acque rosetane per recuperare una barca. Sono state spiegate con
infortuni o malori anche le scomparse di Mario Orsini, di Pescara,
caduto nel porto canale durante i festeggiamenti di Sant’Andrea;
Antonio Santini, comandante del motopesca «Silvio Andrea» a Vasto;
Remo Lattanzio, di Silvi, caduto in acqua mentre il «Maria Cristina»
affondava durante il rientro dalla pesca delle vongole; Luciano
Ortolano, annegato dopo il rovesciamento della sua barca a Vasto.
Nessuno di loro inoltre indossava il giubbotto.
«Il soccorso in mare – conclude il comandante in seconda Donato De
Carolis – è sempre una questione di tempismo. La prima a venire
chiamata è la capitaneria, ma i primi tenuti a raccogliere l’SOS
sono i natanti più vicini. Per fortuna l’avanzamento tecnologico dei
soli ultimi dieci anni permette di monitorare ogni movimento nelle
acque territoriali, tuttavia non sempre si fa in tempo a chiedere
aiuto. Consigliamo di indicare a chi resta a terra la propria meta e
l’orario previsto per il rientro: si evitano anche molti falsi
allarmi».
Ad ogni porto
corrisponde una grande famiglia, quella dei pescatori. Ogni banchina
conserva una tradizione costruita da codici, gesti, abitudini,
discordie e affetti; per ogni uomo che viene a mancare ci si fa un
po’ più stretti intorno ai suoi cari. Ogni marineria ha anche i suoi
depositari della memoria storica, come il pescatore-poeta Lucio Marà,
a Giulianova, o il presidente del comitato della Festa di
Sant’Andrea Gabriele Correntini, a Pescara. Intorno ad ogni
marineria gravita inoltre una notevole produzione di libri,
memoriali, volumi documentali.
L’Abruzzo rinnova con
rispetto reverenziale il ricordo dei suoi figli rubati dal mare.
Nella banchina del porto di Pescara, ad esempio, c’è un monumento ai
marinai scomparsi in acque d’Abruzzo: fu il comitato pro caduti del
mare ad erigerlo, nel luglio del 1977, dietro idea del suo
presidente Gianni Papponetti, fratello di Enrico, marinaio colpito
dal cavo del rimorchiatore che trainava il suo peschereccio
incidentato. Il monumento, sulla cui cima svetta l’ancora della
barca del padre dei due, Riccardo, sarà protagonista della Festa
della Marina del prossimo 10 giugno. A Roseto l’imboccatura del
pontile presenta un bellissimo monumento in ricordo ai caduti in
mare realizzato nel 1988 da Daniele Guerrieri, raffigurante un
naufragio. A Giulianova, la statua di una donna china in lacrime sul
corpo di un pescatore, realizzata dallo scultore Alfonso Tentarelli
nel 1983, si trova nella zona nord del lungomare monumentale;
all’imboccatura del porto tre lapidi ricordano otto giuliesi
scomparsi, e una installata nel 1957 ricorda tutti i caduti in
Adriatico. Vasto ricorda i suoi pescatori con una processione in
mare che per tradizione si svolge a Ferragosto ma che da qualche
anno è anticipata al 6 giugno, per la festa di Santa Maria Stella
Maris; del 15 agosto è invece la cerimonia che si tiene a Roseto per
la festa patronale di Ss. Maria Assunta, mentre a Pescara è per
Sant’Andrea, patrono dei pescatori, che centinaia di pescherecci
escono in mare per ricordare i caduti. Ad Ortona una lapide
all’imboccatura del porto commerciale ricorda tre marinai scomparsi
negli anni ’90, mentre a Giulianova ad agosto la processione a mare
per la Madonna del Portosalvo prevede che venga gettata tra le onde
una corona d’alloro.