L'affondamento del
"Francesco Padre"
non è più un mistero
solo molfettese
A portare il sentire
comune della città, Lucrezia D’Ambrosio, corrispondente della
Gazzetta del Mezzogiorno, che si è occupata del caso sin dalle prime
battute.
L’affondamento del
motopesca “Francesco Padre” rimane una storia emblematica della
marineria molfettese e non solo. Infatti, accende i riflettori su un
altro aspetto di cui si è sempre restii a parlarne: i residui
bellici presenti nel basso adriatico.
Dalla Magistratura il
caso è stato chiuso con il sospetto che l’equipaggio del motopesca
trasportasse esplosivo, ma la marineria molfettese sin da primo
momento, e poi successivamente vedendo le immagini registrate da un
robot a 250 metri di profondità, ha parlato di siluramento del
“Francesco Padre” o di una mina incagliata nelle reti.
I marinai più vecchi
ricordano perfettamente le cinque persone dell’equipaggio e dicono
di loro che erano “brave persone, oneste e lavoratori, che non
trasportavano armi, ma solo pesce”.
Ricordiamo che era il
4 novembre 1994 in piena guerra dell’ex Jugoslavia.
Partendo proprio da
questa storia tutta molfettese che Franco Di Mare, giornalista e
conduttore del programma di Rai Uno “Sabato & Domenica”, è voluto
tornare sull’argomento per ricordare quanto poco sicuro il basso
Adriatico.
In studio, a portare
il sentire comune della città, Lucrezia D’Ambrosio,
corrispondente della Gazzetta del Mezzogiorno, che si è occupata del
caso sin dalle prime battute.
Proprio con Lucrezia
abbiamo voluto ripercorrere le tappe fondamentali di questa storia.
L’approfondimento con Franco Di Mare ha lasciato trapelare la
possibilità di una riapertura del caso. Reputi che sia fattibile?
Personalmente mi auspico che questo accada, anche se bisogna
capire se ci sono i presupposti, perché un’inchiesta penale si
riapre quando ci sono elementi nuovi. E quelli di cui si dispone in
questo momento sono noti da tempo. Superando gli aspetti puramente
tecnici, forse sarebbe il caso che si pensasse a recuperare i resti
mortali dei quattro uomini dell’equipaggio.
Perché non li
hanno mai recuperati?
Per la Procura l’operazione è particolarmente costosa. D'altra
parte si ritiene che il recupero dei resti dei quattro uomini e del
relitto possa servire a capire le cause dell’esplosione che ha
portato all’affondamento, non possa portare alla individuazione e
alla punizione del colpevole: se il colpevole è uno dei componenti
dell’equipaggio è morto, quindi non è punibile; se, invece, è una
persona estranea all’equipaggio è praticamente impossibile
individuarla, per punirla.
E i familiari
in tutto questo?
I familiari ritengono che non si voglia scoprire la verità.
Non ti sembra
che questo rimarrà uno dei misteri molfettesi più enigmatico?
Personalmente confido nell’intelligenza e nella “pietas” di chi
può intervenire per restituire la dignità a queste persone.
L’approfondimento giornalistico fatto da Franco Di Mare rimarrà un
momento isolato o potrà aiutare a far luce su questo mistero?
Dopo il programma alcuni milioni di italiani sono venuti a
conoscenza di un fatto a loro totalmente ignoto, questo sicuramente
è un punto fermo. L’errore che si è commesso dall’inizio è il
trattare la tragedia del “Francesco Padre” come se fosse un fatto
strettamente locale. Non è così perché coinvolge, comunque, cinque
italiani. Non si sono mai costituiti comitati, non si sono mai fatte
azioni coordinate per sollecitare le autorità nazionali, ci si è
sempre solo affidate alle iniziative dei singoli. Se un programma
televisivo ha rilanciato la notizia a livello nazionale ed è
riuscito a raggiungere più persone, questo potrebbe essere davvero
l’inizio di un nuovo momento.
Quali
sensazioni ti ha suscitato parlare del “Francesco Padre” in
televisione in programma di punta?
Un'emozione molto forte, non tanto dovuta al posto in cui mi
trovavo, ma al ruolo che stavo rivestendo in quel momento. Due ore
prima di partire per Roma ho incontrato Maria Pansini, la figlia del
comandante del peschereccio, lei mi ha consegnato una foto e come se
mi avesse affidato le sue speranze.
Quella foto è
l’unica rimasta, tutte le altre sono state affidate ai giornalisti
negli anni e non sono più tornate indietro. Maria mi ha affidato le
sue parole, un momento tutto nostro in cui i sentimenti hanno
prevalso su tutto il resto. Maria mi ha raccontato quello che ha
vissuto in questi anni, del dolore che ancora sente e delle speranze
che, nonostante tutto, continua ancora a nutrire. Maria non ha mai
voluto vedere le riprese subacquee del relitto.
In quel
programma non potevo farmi sopraffare dalle mie emozioni, io ero in
secondo piano, dovevo raccontare un fatto per sollecitare le
coscienze dei telespettatori. Maria subito dopo il programma mi ha
mandato un sms: “spero che il dolore che oggi mi ha provocato
guardare quelle immagini che non avevo mai visto possa portare a
qualcosa: conoscere la verità”.
Guarda l'intervista dell'"Indignato
Speciale" di Canale 5 effettuata il 2 dicembre 2008 a Maria Pansini, figlia del comandante
del "Francesco Padre" perito nell'affondamento.