BARI - Duecentoquarantre metri in fondo all’Adriatico, la chiglia
del peschereccio molfettese «Francesco Padre» ritrova per un attimo
la luce, è il ROV (robot subacqueo) della Impresub a tornare sul
relitto dopo quasi due anni dall’affondamento nel giugno del 1996.
Le prove di quanto accadde davvero la notte del 4 novembre 1994 al
comandante Giovanni Pansini e al suo equipaggio, formato da Luigi De
Giglio, Francesco Zaza, Saverio Gadaleta, Mario De Nicolo, sono
ancora in fondo al mare. Ed è da quelle prove, di cui questo video
costituisce parte essenziale, che ripartirà ad indagare la procura
che proprio ieri ha riaperto l’inchiesta su questa tragedia.
Il
GIP di Trani Roberto Olivieri del Castillo ha voluto riaprire il
caso per accertare in maniera definitiva se l’equipaggio del
«Francesco Padre» avesse a bordo materiale esplosivo, così come si
era chiusa la precedente inchiesta, oppure se a determinare
esplosione ed affondamento siano state altre cause.
Il
ROV cerca le tracce, scandaglia i resti del peschereccio da prua a
poppa, sino a trovare le spoglie di due dei marittimi. Uno di essi
giace sul fondo con ancora gli stivali e la cerata rossa, e, forse,
da quindici anni attende giustizia,
che finalmente si faccia chiarezza su questa vicenda intricata e dai
contorni oscuri. Potrebbe essere stata una tragica fatalità ad aver
determinato la tragedia, come l’aver urtato o salpato nelle reti un
vecchio ordigno bellico o una mina adoperata nella guerra dei
Balcani.
Oppure, come in una nuova Ustica, il peschereccio potrebbe essere
colato a picco per attacco esterno.
La
differenza è sostanziale perché se fossero vere queste ultime
ipotesi si potrebbe riabilitare la memoria di Giovanni Pansini e del
suo equipaggio, e così cauterizzare una ferita ancora viva nel
sentimento della comunità marittima di Molfetta.
Nel video il relitto del «Francesco Padre» è adagiato sulla chiglia
ad una profondità di 243 metri e ha la prua orientata per 296 gradi,
risulta ancora essere abbastanza integro nella struttura dell’opera
viva (la parte immersa di una nave), ma è mancante della zona
poppiera dove rimane un grosso squarcio sul lato sinistro. I segni
di una devastante esplosione sono evidenti sullo scafo, sia nelle
strutture in legno, - che appaiono strappate più che divelte, - come
in quelle in metallo, in molte parti deformate. La rulliera
salpareti di poppa, unita ancora ad alcune parti in legno, è stata
sbalzata a grande distanza ed è stata individuata dal ROV isolata
dal corpo principale del relitto.
Le reti appaiono in posizione,
come se al momento della deflagrazione il peschereccio fosse
impegnato nelle operazioni di pesca, e ciò potrebbe essere
testimoniato anche dai lunghi stivali a coscia (utilizzati solo
durante l’azione di salpaggio della rete) e che si distinguono a
ridosso dei resti di uno dei pescatori. Intorno al relitto sono
sparsi vari oggetti: si riconoscono pezzi di motore, un salvagente e
poi una pentola, un piatto, uno stivale, una scarpa, una busta
ancora chiusa di cui non è possibile immaginare il contenuto.
Alcuni reperti vennero rinvenuti
dal ROV (1996) già molto distanti dal relitto a più di 250 metri,
spinti dalle correnti o trascinati da attività successive all’af
fondamento, ma oggi la procura intende spedire laggiù un nuovo Robot
per realizzare altre immagini. La risoluzione del mistero, tuttavia,
potrebbe già trovarsi nelle carte processuali acquisite in questi
anni, nelle numerose perizie che si sono susseguite e mostrano
numerose incongruenze.