LEOLUCA ORLANDO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro
degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare.
-
Per
sapere –
premesso che:
nella notte
del 4 novembre 1994, in mezzo all'Adriatico, morirono 5 pescatori
italiani (Giovanni Pansini, 45 anni, Luigi De Giglio, 56 anni,
Saverio Gadaleta, 42, Francesco Zaza, 31 anni, e Mario De Nicolo,
28), a causa dell'affondamento del peschereccio «Francesco Padre» di
Molfetta (La Stampa, 4 novembre 2008); a distanza di 16 anni, il
relitto del motopeschereccio molfettese, giace ancora a 243 metri di
profondità nel mare Adriatico, a venti miglia dalla costa
montenegrina e i corpi dei primi quattro risultano ancora dispersi
in fondo al mare; sull'intera vicenda ha sempre «aleggiato»
l'insinuazione che sul Francesco Padre vi fosse un illecito
trasporto di materiale esplosivo che, di fatto, avrebbe provocato
l'esplosione, mentre dai documenti ufficiali risulta che «nessun
residuo di esplosivo è stato rinvenuto sui resti rinvenuti, ma solo
tracce di idrocarburi combusti» (pagina 84, Gianni Lannes, «Nato:
colpito e affondato», La Meridiana, 2009);
Francesco
Mastropierro, ingegnere navale e componente della Commissione
d'inchiesta della direzione per i sinistri marittimi di Bari, non ha
dubbi: «l'affondamento del Francesco Padre è stata una conseguenza
diretta della deflagrazione di un ordigno esplosivo che si è venuto
a trovare in corrispondenza della rete appena recuperata dal fondo»,
e gli fa eco l'ingegnere Vito Alfieri Fontana, consulente del
magistrato: «L'esplosione è avvenuta all'esterno dell'imbarcazione,
diffondendosi all'interno dello scafo»; nell'area dove pescava il
«Francesco Padre» - zona di rilascio delle bombe Nato a partire dal
1992 - era in corso l'operazione Nato «Sharp Guard», e che oltre ad
un velivolo dell'Usaf e alle corvette italiane Fenice e Sagittario,
stazionavano le unità da guerra «Uss Yorktown», «Hmcs Toronto», «Sps
Tramontana», «Hnlms De Reuyter», «Sps Baleares», ed altre non
identificate; un telex riservato emesso dalla «Direzione Marittima
di Bari» ha chiesto a Comparare Molfetta «copie autentiche bandi
interdizione/pericolosità emanati con validità 03 et 04 novembre
1994»; la magistratura non ha mai acquisito i tracciati radar
registrati dalle navi e dagli aerei che perlustravano l'Adriatico 24
ore su 24. Non sono state mai richieste al Pentagono le fotografie
satellitari del cosiddetto «incidente» nella «jettison areas» o
quantomeno i rapporti integrali delle unità da combattimento. E
nessun giudice ha mai osato domandare alla National Security Agency,
copia delle registrazioni radio e telefoniche intercettate dal
sistema «Echelon». I testimoni oculari dell'esplosione, i piloti
nordamericani a bordo del velivolo P3c Orion non sono stati mai
identificati. E neppure il vice ammiraglio José A. Martinez
Sainz-Rosas, comandante della fregata spagnola «Baleares» è stato
mai interrogato (pagina 67, Gianni Lannes, «Nato: colpito e
affondato», La Meridiana, 2009);
la Procura
della Repubblica di Trani (pubblico ministero Elisabetta Pugliese e
poi Giancarlo Montedoro, gip Giulia Pavese), dirottata dalle
contraddittorie tesi del consulente Giulio Russo Krauss (docente
all'università di Napoli e all'Accademia navale di Livorno, nonché
consulente della Nato, e che interrogato successivamente sul caso ha
risposto: «adesso non ricordo nulla»), ha archiviato il caso nel
1997;
il procuratore
aggiunto Pasquale Drago si è opposto alla riapertura delle indagini
poiché «un eventuale recupero dello scafo adagiato su di un profondo
fondale marino - a parte gli elevati costi dell'operazione si
muoverebbe nella stessa direzione della mera ricerca delle cause del
sinistro, avulsa da qualsiasi concreta prospettiva di pervenire alla
identificazione di eventuali responsabili»;
una nota del
direttore marittimo Nicola Armando Romito (14 agosto 2002) attesta
che «il giudice per le indagini preliminari ha disposto la confisca
e la distruzione dei corpi di reato»: una decisione mai comunicata
ai familiari delle vittime (pagina 83, Gianni Lannes, «Nato: colpito
e affondato», La Meridiana, 2009);
l'11 luglio
1993 si era già sfiorata la tragedia: il «Francesco Padre» mentre
era impegnato nella pesca in Adriatico, venne rimorchiato per circa
1,5 miglia verso est-nord-est da un sommergibile Usa a propulsione
nucleare. La barca italiana subì una forte inclinazione, tanto da
rischiare l'affondamento. Il governo Usa indennizzò il comandante
del Francesco Padre con 9.554 dollari a condizione di non rivelare
nulla;
in base alle
conclusioni della Commissione d'inchiesta della direzione marittima
si evince che il «Francesco Padre» era in attività di pesca;
ai familiari
delle vittime dell'affondamento del «Francesco Padre» il nostro
Governo aveva elargito sulla carta (decreto 1105 del 7 dicembre
1994) 50 milioni a famiglia e la somma non è stata mai erogata;
sull'intera
vicenda è stato apposto il segreto di Stato con un decreto
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 luglio 2009;
a offendere la
memoria dei cinque marinai, delle loro famiglie e di tutta la
marineria molfettese, oltre che accusa di trasporto illegale di
esplosivo a bordo riportata tra l'altro (corrieredelmezzogiorno.it,
16 novembre 2009), è la mancanza di risposte certe e il rifiuto
dell'autorità competente al recupero del relitto
-: di quali
informazioni disponga il Governo in ordine alla vicenda e quali
iniziative intenda adottare per fare piena luce sull'accaduto,
eventualmente anche intervenendo in sede Nato affinché siano
acquisiti ulteriori elementi conoscitivi (rapporti ufficiali delle
unità presenti quella notte: navi, sommergibili, aerei), e valutando
l'opportunità di riaprire il caso;
se non valuti
necessaria l'esigenza di rimuovere tutti i segreti militari e di
Stato, facendo piena luce sui responsabili della strage e la catena
di comando che avrebbe occultato la dinamica reale
dell'affondamento, recuperando ciò che rimane delle salme e dando
degna sepoltura alle vittime; se corrisponda al vero che
l'indennizzo di 50 milioni a famiglia da parte del Governo ai
familiari delle vittime stabilito nel decreto n. 1105 del 7 dicembre
1994 non sia stato effettivamente corrisposto, e in caso
affermativo, quali iniziative si ritenga opportuno adottare; quali
attività di recupero e bonifica nel mare Adriatico da ordigni e
materiali bellici il Governo intenda intraprendere, oltre a quelle
già effettuate.