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Caduti

del mare

 

 

20 marzo 2010

Bruna Iacopino

su

 

Una nave affondata

nel mare dei segreti

 

 

 

 

“C'è un filo rosso e oscuro che attraversa la storia di questo paese, un filo al quale restano appesi come fantasmi i misteri che avvelenano la memoria e impediscono di definirci una democrazia matura, ragionevole, compiuta...” si apre così con le parole di Andrea Purgatori ( autore della prefazione), il testo di Gianni Lannes, nel libro "NATO: colpito e affondato". Un racconto che inizia in mezzo al mare, il nostro Adriatico, al largo delle coste pugliesi e finisce con un'inchiesta giudiziaria recentemente riaperta ( nel febbraio di quest'anno) grazie alla costanza e alla dedizione di uomini e donne che non hanno perso ancora la speranza di riuscire, un giorno, a vedere appurata la verità. Una storia pesante, come in Italia, da Piazza Fontana in poi, siamo abituati a sentire raccontare, fatta di morte e dolore, di vite spezzate e memorie infangate, di depistaggi e inchieste aperte e chiuse con estrema rapidità. Su tutto, l'ombra pesante e ingombrante del “Segreto di stato” e del segreto militare. Di quella vicenda probabilmente si è persa la memoria, per lo meno quella dei non addetti ai lavori, eppure, per quanto possa assomigliare molto alla trama di un giallo dalle tinte nere, su cui campeggiano gli immancabili interessi sovranazionali, è accaduta realmente, quasi 16 anni fa.

Quella notte del 4 novembre del 1994, in mare aperto c'era una barca, un peschereccio, il cui nome era  Francesco Padre, a bordo 5 pescatori, Giovanni Pansini, 45 anni, Luigi De Giglio, 56 anni, Saverio Gadaleta, 42, Francesco Zaza, 31 anni, e Mario De Nicolo, 28,  e un cane. 5 uomini che non hanno mai più fatto ritorno  a casa e i cui corpi, ad oggi ( tutti tranne uno) giacciono in fondo al mare, cibo per pesci.

Si perchè quella notte,  il natante è affondato, con lui è affondato l'equipaggio e insieme a loro, per anni, anche questa storia. Lannes parte da qui, da quell'affondamento e ripercorre, a ritroso tutte le tappe di una vicenda che in molti avrebbero voluto insabbiare da subito, per spingere la riflessione decisamente oltre, oltre la vicenda singola e drammatica di questi 5 uomini e delle loro rispettive famiglie, oltre quel muro di gomma che per tanto tempo ha fatto parlare di “Ustica del mare”...

Fino ad arrivare al 12 giugno 2009, giorno in cui, in tutta fretta, e in completo silenzio il Presidente del Consiglio firma un decreto, denominato “ Determinazione nell'ambito dei singoli livelli di segretezza, dei soggetti con poteri di classifica, dei criteri di individuazione delle materie oggetto di classifica nonché dei modi di accesso nei luoghi militari o definiti di interesse per la sicurezza della Repubblica”, con un articolo, il num. 7 sottoposto ad “omisssis”. All'art 2 del suddetto decreto si evince l'ambito di applicazione come segue: “ Art. 2. Il presente decreto si applica a tutti i soggetti pubblici e privati che, per fini istituzionali o contrattuali, hanno necessità di trattare informazioni, atti, attività, documenti, cose e materiali classificati, sia nazionali che originati nel quadro del Trattato Nord Atlantico, dell'Unione europea e di qualunque altro accordo internazionale stipulato dallo Stato.”

Da subito si inserisce, strisciante in questa storia, il segreto, quello di stato e quello militare, ma ad alti livelli perchè, nel caso del decreto, come nel caso dell'affondamento del peschereccio, stando alla ricostruzione di Lannes, protagonista indiscussa risulta essere la NATO.

Per capire appieno bisogna dunque fare un passo indietro e ricordare cos'era l'Adriatico in quel lontano 1994, un piccolo specchio d'acqua completamente invaso da presenze militari, sopra e sotto il mare, a causa delle operazioni di embargo contro Serbia e Montenegro, stabilito dall'ONU.

Con meticolosità e precisione Lannes riporta documenti, testimonianze, nomi di sommergibili e imbarcazioni militari, velivoli che quella stessa notte presidiavano la zona in questione e furono non solo “testimoni”, ma anche direttamente coinvolti ( questa la tesi sviluppata nel testo) nell'affondamento di un innocuo peschereccio, la cui dinamica venne da subito giustificata anche in sede di indagine, come esplosione interna provocata dal trasporto di materiale esplosivo, probabilmente di contrabbando. Un colpo per i familiari, un durissimo colpo per tutta la marineria molfettese che si vide affibbiare quell'infamia: in realtà quegli uomini non stavano lì a pescare ma gestivano traffici illeciti con un paese sotto embargo.

A farsi portavoce di questa prima ipotesi il CTU nominato dalla Procura della Repubblica di Trani (pubblico ministero Elisabetta Pugliese e poi Giancarlo Montedoro, gip Giulia Pavese), prof Giulio Russo Krauss, dell'Università Federico II di Napoli; a contraddirlo una serie di dati: a partire dal filmato girato dal Rov della Impresub qualche anno dopo per proseguire con il mancato e immediato intervento dei tanti mezzi militari presenti in quell'area e attivi nell'operazione denominata Sharp Guard, l'allarme lanciato dopo molte ore, quel corpo galleggiante ( quello di Mario De Nicolo) lasciato a morire in acqua e tirato fuori solo successivamente ma completamente nudo, la distruzione (ordinata senza comunicare nulla ai famigliari) dei pochi reperti recuperati, il mancato recupero dell'imbarcazione nonostante la profondità non eccesiva ( 243 metri) i reiterati appelli delle istituzioni locali, di Federpesca, dei famigliari... e in ultima analisi, le relazioni tecniche contrastanti con quelle del Ctu, prodotte da Francesco Mastropierro ingegnere meccanico, capitano di lungo corso e membro della commissione tecnica Direziomare di Bari per l'inchiesta sui sinistri marittimi, e dell'ingegner Vito Alfieri Fontana, nominato dal comune. L'unica via percorribile, ovvero il recupero del relitto non venne mai neanche presa in seria considerazione... gli indizi provati disseminati nel libro conducono, unitamente ai documenti e alle relazioni succitate, ad una tragica verità: il Francesco Padre venne affondato da un agente esterno (forse un missile) all'interno ad uno scenario che era di guerra, ma prima venne bersagliato da una raffica di proiettili (a riprova una serie di immagini contenute in appendice al libro stesso).

Sull'esplosione a causa di un agente esterno i tecnici citati non hanno dubbi.

E dopo una lunga trafila durata 16 anni, il caso del Francesco Padre in queste settimane anche il Parlamento. A prendere in carico la vicenda Leoluca Orlando, parlamentare dell'Italia dei Valori che attraverso un'interrogazione parlamentare chiede l'immediata rimozione del segreto di Stato e l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. "E' tempo di far luce su questa vicenda - spiega Orlando - e sulle sue implicazioni e connessioni a livello internazionale. La mancanza di risposte certe, i molti lati oscuri e il rifiuto delle autorità competenti al recupero del relitto è l'offesa più insopportabile alla memoria dei cinque marinai che hanno perso la vita, alle loro famiglie e a tutta la marineria molfettese".

L'interrogazione a risposta scritta mette nero su bianco elementi inoppugnabili, già ampiamente argomentati nel testo di Lannes: “ ...la magistratura non ha mai acquisito i tracciati radar registrati dalle navi e dagli aerei che perlustravano l'Adriatico 24 ore su 24. Non sono state mai richieste al Pentagono le fotografie satellitari del cosiddetto «incidente» nella «jettison areas» o quantomeno i rapporti integrali delle unità da combattimento. E nessun giudice ha mai osato domandare alla National Security Agency, copia delle registrazioni radio e telefoniche intercettate dal sistema «Echelon». I testimoni oculari dell'esplosione, i piloti nordamericani a bordo del velivolo P3c Orion non sono stati mai identificati. E neppure il vice ammiraglio José A. Martinez Sainz-Rosas, comandante della fregata spagnola «Baleares» è stato mai interrogato (pagina 67, Gianni Lannes, «Nato: colpito e affondato», La Meridiana, 2009)...”

E pone inoltre la questione dell'indennizzo ai famigliari delle vittime, disposto all'epoca ma mai avvenuto, unitamente alla richiesta di opportune attività di bonifica in quell'area di mare “da ordigni e materiali bellici” con tutta probabilità ancora presenti.

 

 

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