ORLANDI.
- Ai Ministri della marina mercantile
e dell'interno. - Per conoscere quali iniziative siano state
assunte in relazione all'avvenuto naufragio del motopeschereccio
atlantico Pinguino al fine di:
1) accertare, eventualmente anche attraverso l'invio di sommozzatori
della marina militare, quali siano state le effettive cause del
disastro;
2) sollecitare, sulla base dei vigenti accordi internazionali, le ricerche dei dispersi tanto più che le
circostanze finora emerse, le condizioni atmosferiche e il non
avvenuto rinvenimento delle scialuppe di bordo fanno intuire la
messa in atto d'un tentativo di salvataggio;
3) sovvenire le famiglie dei dispersi, tenuto conto della inadeguatezza delle norme che regolano il settore
della previdenza marinara. (15195)
RISPOSTA. -
In data 21 febbraio 1966 il nostro agente consolare di Las Palmas
comunicava che il motopeschereccio Pinguino, matricola 106
di Ancona, era naufragato, al largo delle coste della Mauritania,
nella notte tra il 19 e il 20 febbraio.
Il motopeschereccio in questione era stato costruito nel 1958 in
scafo di acciaio; era fornito di motore Ansaldo del 1963; Diesel
C.A. 300; stazzava tonnellate stazza lordo 160,19.
Era
munito di certificato di classe del R.I.Na. valido fino al giugno
1966; l'ultima visita di detto istituto era stata effettuata nell'ottobre
del 1965.
Per detta unità erano prescritti, quali mezzi di salvataggio, una
lancia in legno della capacità di dieci posti; uno zatterino in
gomma della capacità di venti posti; otto salvagenti anulari,
quindici cinture di salvataggio.
Esso era pertanto tecnicamente idoneo alla pesca atlantica e
garantiva condizioni di sicurezza per il personale imbarcato.
Per quanto concerne poi le modalità del sinistro si comunica che il
Pinguino fece la sua ultima comunicazione radio telefonica
alle ore 22 del 19 febbraio 1966; chiamato il mattino successivo
alle ore 05 dal motopeschereccio Erminio Borio non dette
risposta. Avvertiti di ciò un'ora dopo convennero nelle vicinanze
della boa ubicata a sud di Capo Bianco i motopescherecci Mistral
e Matilde, i quali avvertivano della assenza del
Pinguino tutti gli altri pescherecci italiani in pesca nelle
vicinanze.
Il natante scomparso veniva avvistato, alle
ore 10 circa; dal motopeschereccio italiano
Kodiak
e dalla motonave postale spagnola Leon
y
Castillo:
esso era quasi completamente
affondato, in posizione verticale, con la prora emergente
dall'acqua per tre-quattro metri, a circa due miglia a sud-ovest
della boa di Capo Bianco e distante da terra sette miglia (in acque
extra territoriali).
Il Kodiak dava immediatamente l'allarme e
sul posto convenivano oltre le unità sopraindicate anche i
motopescherecci italiani Rodi, Luna, Andrea Speat, Astoria,
Amoruso primo, e Antonio Biagini i quali iniziavano le
ricerche dei naufraghi perlustrando sistematicamente le acque nei
paraggi del sinistro.
Tali ricerche venivano proseguite anche nella
successiva giornata del 21 febbraio.
Dal canto suo la motonave Leon y Castillo
informava del sinistro l'aiutante di marina di La Guera che, non
avendo alcun mezzo nautico a disposizione, interessava il direttore
del porto di Port Etienne il quale, nelle prime ore
pomeridiane del giorno
20
(15,30)
faceva uscire in mare due motovedette (Chinquetti e
Imragvi) ed il rimorchiatore Choum che seguivano le
ricerche rimaste purtroppo infruttuose.
Anche un aereo civile, appartenente alla società mineraria
franco-inglese Miferma, partecipava il giorno 21 febbraio alle
ricerche.
Il Pinguino affondava completamente nel pomeriggio del 21
febbraio su fondali di circa 25 metri.
Per quanto riguarda le cause del sinistro questo Ministero - che si
è tenuto costantemente in contatto con le rappresentanze consolari
di Las Palmas e Dakar - ha impartito immediate disposizioni per la
raccolta di tutti gli elementi atti ad effettuare l'inchiesta
sommaria che veniva affidata all'autorità consolare di Las Palmas,
essendo colà pervenute le prime notizie del sinistro e facendo scalo
in quel porto la maggior parte delle unità da pesca italiane
operanti in quella zona atlantica. Detta agenzia consolare, in
collaborazione con quelle di Port Etienne e Dakar, ha inoltre
provveduto all'interrogatorio dell'equipaggio dei motopescherecci
Erminio Borio e Andrea Speat.
Questo Ministero inoltre disponeva, in data 26 febbraio, l'invio del
tenente colonnello di porto Russo in dette località per coordinare
la raccolta di ogni elemento utile per l'accertamento delle cause
del sinistro.
Allo stato non è possibile formulare in merito alcuna ipotesi; le
cause del sinistro potranno essere infatti determinate allorché
sarà possibile ispezionare lo scafo sommerso e determinare il
genere di eventuali falle che dovessero sullo stesso riscontrarsi.
Come è noto nel sinistro sono periti 13 marittimi [invece
purtroppo le vittime furono 14]. Finora sono
state recuperate tre salme: due di esse (e precisamente quelle del
marinaio Tommaso Bruni e del cuoco Vittorio Scartozzi), recuperate
dal motopeschereccio Erminio Borio lo stesso giorno del
naufragio, venivano trasportate a Las Palmas da dove (dopo essere
state sottoposte ad autopsia ed imbalsamazione) venivano fatte
proseguire, a bordo del motopeschereccio Emanuele Junior, per
Bari e da qui per San Benedetto del Tronto a mezzo di ferrovia.
La terza salma - non identificabile - ritrovata in mare il 9 marzo
dal motopeschereccio Rodi, veniva rinchiusa in una cassa di
zinco e sbarcata a Porto Etienne da dove è stata rimpatriata a mezzo
della motonave Mario Zeta.
Per quanto riguarda il recupero delle altre salme, va premesso che è
da ritenere che esse siano racchiuse nello scafo del natante che
giace
in fondali non profondi - 25 metri circa ma in una zona in cui le ricerche e l'eventuale recupero sono resi
particolarmente difficili dalla fortissima corrente sottomarina e
dalle acque torbide.
Inoltre va osservato che l'attuale legislazione non prevede
l'obbligo, né da parte dell’armatore né dello Stato o di altri enti,
di provvedere al recupero ed al rimpatrio delle salme dei marittimi
deceduti all'estero.
In genere sono gli armatori o le società assicuratrici che
procedono a tale incombenza, non essendovi giuridicamente obbligati;
ma nel caso in esame, la società armatrice, proprietaria solo
dell'unità affondata e di modestissime potenzialità economiche, non
è in grado di affrontare le spese inerenti al recupero delle salme.
Come già detto, i nostri pescherecci atlantici operanti nella zona
si sono generosamente prodigati nei tentativi di recuperare le altre
dieci salme; le autorità marittime militari spagnole, dal canto
loro, si sono offerte di far eseguire con propri mezzi ed uomini
altri tentativi, a condizione che le relative spese vengano
rimborsate dall'armatore il quale, come prima ho detto, non è in
grado di sostenerle.
Per altro la distanza, non solo dall' Italia ma anche dalla più
vicina base estera attrezzata per condurre efficaci ricerche
sottomarine in una zona
-
come
si è detto
-
di fortissime correnti e di rilevante torbidità dell'acqua, rende
quanto mai complicato qualsiasi intervento con mezzi e personale
adeguati, di cui, tra l'altro, questa amministrazione non ha disponibilità.
Tuttavia a seguito di accordi intercorsi con il ministro della
difesa, è stata inviata, in data 10 maggio 1966 - a mezzo di un
aereo militare
-
una squadra di sommozzatori della marina militare che tenterà il
recupero delle salme ancora racchiuse nello scafo.
Si desidera infine comunicare che questo Ministero ha disposto
l'elargizione di un sussidio di lire 150 mila a favore di ciascuna
famiglia dei marittimi deceduti. Da parte sua il Ministero degli
interni ha disposto la concessione, in favore della famiglia di
ciascun marinaio deceduto, di un sussidio straordinario di lire 100
mila, se questi era celibe; di lire 200 mila, se coniugato senza
prole; di lire 300 mila, se coniugato con prole.
Il Ministro della marina mercantile:
NATALI
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