Il mistero del "Pinguino"
Il
mistero che avvolse ventiquattro anni fa l’affondamento del
“Pinguino”, il motopesca della flottiglia oceanica sambenedettese
inabissatosi nelle acque della Mauritania la notte del 20 Febbraio
1966, potrebbe essere svelato. Lo rivela un settimanale giapponese
nel corso di un intervista a Rikio Nikko, un ex pescatore che all’
epoca si trovava imbarcato sulla “Shikamaro”, unità da pesca
giapponese. Non si comprende il perché di questa “confessione” a
tanti anni di distanza dal naufragio del “Pinguino”. Così come non
si comprende il perché le Autorità italiane si affrettarono a
chiudere l’ inchiesta. Anni fa anche un ex sommozzatore della Marina
Militare, che partecipò alla spedizione in Mauritania dichiarò: «i
nostri superiori ci dissero di non rivelare cosa realmente vedemmo
nei fondali della Mauritania dove giaceva il relitto dello scafo
sambenedettese. La versione ufficiale doveva essere lo scoppio del
gas». Nel reportage firmato dall’ ex pescatore Nikko, che vive oggi
a Osaka, si fornisce una verità dei fatti circa le cause che
procurano la tragedia del “Pinguino” che secondo quanto sostiene
Nikko fu speronato. «A quei tempi si operava nei mari africani data
la pescosità degli stessi. La notte della sciagura nessuno di noi si
accorse della collisione anche perché il motopesca italiano era
piccolissimo rispetto alla nostra unità quattro volte superiore come
tonnellaggio. Alle prime luce dell’ alba avvertimmo delle anomalie
alla prua e ci accorgemmo di aver urtato contro un altro scafo
perché sulla fiancata anteriore portammo una grande bozza. Restammo
per qualche ora sul punto dove poteva essere accaduto l’
affondamento ma ormai era troppo tardi per prestare soccorso e così
ci fu ordinato di fare rotta verso il porto di Sant’ Etienne».
Questo il passo più rilevante dell’ intervista realizzata ad uno dei
testimoni oculari della tragedia del “Pinguino” nella quale persero
la vita 14 uomini di equipaggio. Solo quattro i corpi che furono
recuperati : Tommaso Bruni, Vittorio Scartozzi e il comandante
Alberto Palestini, un quarto uomo non fu mai identificato. A bordo
del “Pinguino” erano imbarcato anche Elio Voltattorni, Domenico
Romani, Ruggiero Spina, Antonio Pompei, Agostino e Pasquale Greco,
Giuseppe Monti, Felice Taranto e Dino Bruni.
Ad
avvalorare la confessione resa dopo tanti anni dall’ accaduto vi
sono le testimonianze di alcuni marittimi sambenedettesi che
parteciparono ai primi soccorsi in Mauritania. «Quando rientrammo a
Sant’ Etienne notai ormeggiata sulla banchina la nave giapponese
“Shakamaro” che presentava una “bugna”, (nel gergo marinaro sta per
una rientranza dello scafo), e sospettai che il “Pinguino” potesse
essere stato speronato dai giapponesi – ha sempre sostenuto Filippo
Palestini – ex capitano marittimo imbarcato nel lontano Febbraio del
’66 sull’ “Emilio Boario” – le autorità marittime del posto quando
chiesi che fosse aperta un’ inchiesta mi presero per visionario. C’
è da dire che i giapponesi dominavano il mercato internazionale
della pesca e si preferì evitare un caso diplomatico». La
rivelazione fornita dal settimanale giapponese sulla verità dell’
affondamento del “Pinguino” ha riaperto una ferita che non si è mai
rimarginata nel cuore della marineria sambenedettese e neppure nuove
indagini, semmai ve ne fossero, potranno riuscire a tanto. Così come
non potranno essere dimenticate le altre tragedie del mare che hanno
visto coinvolte unità di pesca ed equipaggi sambenedettesi. Il mare
nasconde altri misteri come quello del “Martinsicuro
II” scomparso
al largo della Sardegna:furono rinvenuti solo i galleggianti dello
scafo.
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