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Caduti

del mare

 

 

Remo CROCI su

18 febbraio 1990

 

 

 

 

La copertina della "Domenica del Corriere" del 1° maggio 1966 che rievocava il naufragio del "Pinguino"

 

Il mistero del "Pinguino"

 

Il mistero che avvolse ventiquattro anni fa l’affondamento del “Pinguino”, il motopesca della flottiglia oceanica sambenedettese inabissatosi nelle acque della Mauritania la notte del 20 Febbraio 1966, potrebbe essere svelato. Lo rivela un settimanale giapponese nel corso di un intervista a Rikio Nikko, un ex pescatore che all’ epoca si trovava imbarcato sulla “Shikamaro”, unità da pesca giapponese. Non si comprende il perché di questa “confessione” a tanti anni di distanza dal naufragio del “Pinguino”. Così come non si comprende il perché le Autorità italiane si affrettarono a chiudere l’ inchiesta. Anni fa anche un ex sommozzatore della Marina Militare, che partecipò alla spedizione in Mauritania dichiarò: «i nostri superiori ci dissero di non rivelare cosa realmente vedemmo nei fondali della Mauritania dove giaceva il relitto dello scafo sambenedettese. La versione ufficiale doveva essere lo scoppio del gas». Nel reportage firmato dall’ ex pescatore Nikko, che vive oggi a Osaka, si fornisce una verità dei fatti circa le cause che procurano la tragedia del “Pinguino” che secondo quanto sostiene Nikko fu speronato. «A quei tempi si operava nei mari africani data la pescosità degli stessi. La notte della sciagura nessuno di noi si accorse della collisione anche perché il motopesca italiano era piccolissimo rispetto alla nostra unità quattro volte superiore come tonnellaggio. Alle prime luce dell’ alba avvertimmo delle anomalie alla prua e ci accorgemmo di aver urtato contro un altro scafo perché sulla fiancata anteriore portammo una grande bozza. Restammo per qualche ora sul punto dove poteva essere accaduto l’ affondamento  ma ormai era troppo tardi per prestare soccorso e così ci fu ordinato di fare rotta verso il porto di Sant’ Etienne». Questo il passo più rilevante dell’ intervista realizzata ad uno dei testimoni oculari della tragedia del “Pinguino” nella quale persero la vita 14 uomini di equipaggio. Solo quattro i corpi che furono recuperati : Tommaso Bruni, Vittorio Scartozzi e il comandante Alberto Palestini, un quarto uomo non fu mai identificato. A bordo del “Pinguino” erano imbarcato anche Elio Voltattorni, Domenico Romani, Ruggiero Spina, Antonio Pompei, Agostino e Pasquale Greco, Giuseppe Monti, Felice Taranto e Dino Bruni.

Ad avvalorare la confessione resa dopo tanti anni dall’ accaduto vi sono le testimonianze di alcuni marittimi sambenedettesi che parteciparono ai primi soccorsi in Mauritania. «Quando  rientrammo a Sant’ Etienne notai ormeggiata sulla banchina la nave giapponese “Shakamaro” che presentava una “bugna”, (nel gergo marinaro sta per una rientranza dello scafo), e sospettai che il “Pinguino” potesse essere stato speronato dai giapponesi – ha sempre sostenuto Filippo Palestini – ex capitano marittimo imbarcato nel lontano Febbraio del ’66 sull’ “Emilio Boario” – le autorità marittime del posto quando chiesi che fosse aperta un’ inchiesta mi presero per visionario. C’ è da dire che i giapponesi dominavano il mercato internazionale della pesca e si preferì evitare un caso diplomatico». La rivelazione fornita dal settimanale giapponese sulla verità dell’ affondamento del “Pinguino” ha riaperto una ferita che non si è mai rimarginata nel cuore della marineria sambenedettese e neppure nuove indagini, semmai ve ne fossero, potranno riuscire a tanto. Così come non potranno essere dimenticate le altre tragedie del mare che hanno visto coinvolte unità di pesca ed equipaggi sambenedettesi. Il mare nasconde altri misteri come quello del “Martinsicuro II” scomparso al largo della Sardegna:furono rinvenuti solo i galleggianti dello scafo.

 

 

 

 

 

 

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