Tanta generosità ma soltanto dai
privati
di Mauro Mercuri
LA FAMIGLIA
Serafini, ovvero come imparare a sopravvivere dopo la tragedia del
Freccia Nera. Sono passati cinque mesi da quando Concetta Di Paolo
ha visto il marito e il figlio trascinati via dallo stesso mare che
aveva dato loro da vivere. La storia di Lorenzo e Giorgio Serafini
da quel momento è diventata la storia di una sfortunata famiglia di
marinai conosciuti da tutti e da tutti compianti. La vedova di
Lorenzo e sua figlia Debora raccontano la loro storia e le
difficoltà di una vita che deve continuare. Non vogliono parlare
della perizia sull'incidente. Concetta, 62 anni e Debora, 25,
preferiscono ricordare un marito e un padre che il 9 ottobre avrebbe
compiuto 71 anni e del figlio Giorgio.
«L'ultimo giorno passato con loro», ricorda Debora, «è stato davvero
felice. Noi il giorno prima della sciagura andammo alla comunione di
mia nipote. Io quel giorno non me lo scorderò mai. Mio padre era
talmente felice di stare con tutta la famiglia, con tutti i figli
insieme. Perciò quella notte sono partiti, sono andati a lavorare
tutti e due felici». Ma ai ricordi belli si sovrappongono quelli
della tragedia.
«Torniamo presto»
«All'alba del lunedì», continua la vedova, «prima di partire erano
contenti. Mi hanno detto queste parole: "Se prendiamo molto pesce
torniamo verso mezzanotte-l'una, se prendiamo poco pesce torniamo
addirittura martedì mattina". Per questo io ero tranquilla, la
mattina dell'incidente, non mi sono preoccupata. Abbiamo chiamato,
durante la notte con la radio del baracchino e non abbiamo avuto
risposta, ma siccome abbiamo il baracchino che non arriva molto
lontano, non mi sono preoccupata. Invece la mattina, quando vedevo
ritornare le altre barche e loro no, mi sono allarmata. Sono andata
alla Capitaneria verso le 9.30 per informarmi. Chiedevo agli altri
marinai e tutti mi dicevano che non li avevano visti, non li avevano
sentiti. Sono partiti subito i soccorsi da Giulianova, poi a
mezzogiorno sono partiti quelli da Pescara e gli altri: Lorenzo lo
abbiamo ritrovato poi il pomeriggio, verso le 3.30». Il resto della
storia coincide con la cronaca, tuttora parzialmente confusa
riportata dalla stampa giorno per giorno, mese dopo mese. E oggi
come vive la famiglia Serafini? «La moglie di Giorgio non ha
pensione», dice ancora Concetta, «vive grazie alle donazioni della
gente. Assunta sta aspettando dei documenti dalla Capitaneria di
Pescara per la pensione di vedova. Intanto si è iscritta alla lista
delle vedove per avere un posto al Comune.
L'arte di arrangiarsi
Preghiamo per un posto comunale, ma ora è senza lavoro. Io e Debora
ci arrangiamo, ma quella che ha più bisogno è mia nuora perché ha i
figli piccoli. Io non posso nemmeno darle i pochi risparmi che
abbiamo: gli interessi sono bloccati perché i libretti sono a nome
di mio marito. Se uno muore i suoi beni vanno automaticamente ai
figli. Mio figlio Giorgio non c’è più, i beni spettano quindi ai
miei nipoti, ma sono minorenni e la madre sta aspettando di avere la
patria potestà. Lorenzo quest'anno deve frequentare il terzo anno
Ipias. E' andato qualche giorno a scuola, ma si è dovuto ricoverare.
E' all'ospedale da quindici giorni perché deve fare una cura per le
articolazioni. Cammina male, ha una specie di reumatismo. Ha solo 16
anni. Hanno detto che uscirà fra quindici giorni: ma non sta bene,
in un mese è dimagrito quattordici chili. Lorenzo ha soprattutto
problemi psicologici. Ha un carattere chiuso, da fuori non lascia
trasparire niente, sembra sereno, ma rimette tutto dentro. Io mi
sfogo piangendo, qualche volta, lui mai. Ha preso male la morte del
padre. Diceva che si era salvato, che magari una nave di passaggio
lo poteva salvare... Aveva un rapporto fortissimo con il padre.
Spesso lo chiamava ancora "papino". Adesso ci sono molti amici
che gli stanno vicino: l'ospedale è sempre pieno di ragazzi che lo
vanno a trovare. C'è addirittura un amico di Napoli che ha conosciuto
quest'estate e che lo va a trovare ogni sabato.
Lunghi silenzi
Però lui preferisce non parlare di quello che è successo, nemmeno
con gli amici. Una volta mi sono permessa di dirgli su una certa
cosa "tuo padre non avrebbe voluto". Lui è rimasto muto, di sasso. E
io non mi sono più permessa». «Giorgia, la seconda, invece»,
continua Debora, «ha avuto una borsa di studio per frequentare il
primo anno di
ragioneria
a
Roseto. Si era iscritta a Teramo, ma poi, senza che noi chiedessimo
niente, le hanno donato questa borsa e ora va a scuola a Roseto.
Anche al piccolo Angelo, di un anno, gli è stata offerta la retta
dell'asilo nido fino a dicembre». Tanta è stata la solidarietà della gente, dice
la
vedova
di Lorenzo Serafini. «Ho conosciuto veramente tanta bontà, non me
l'aspettavo dai giuliesi. Tanti, tantissimi ci hanno aiutato,
soprattutto gente sconosciuta. In tanti sono venuti al funerale e
anche di notte nella camera mortuaria per la veglia. Io ho rivisto
persino dei lontani parenti di Bellante, dove sono nata, parenti che
non avevo mai incontrato. E poi le personalità: ai funerali c’erano
Cameli, Arboretti, Gerardini, anche se noi non l'abbiamo mai
conosciuti. Quest'estate hanno fatto una festa e hanno ricavato dei
fondi vendendo libri e altre cose, fondi che ci hanno donato
spontaneamente. E sabato scorso c'è stata una gara di pesca al
tonno. Hanno venduto il pescato e, senza che noi sapessimo niente,
hanno pensato di darci il ricavato. Un giorno dovrò fare una lettera
per ringraziare pubblicamente tutte le persone che ci hanno
aiutato, anche con le offerte».
Grazie a tutti
«Abbiamo avuto più aiuti da persone sconosciute che dagli amici»,
commenta ancora Debora. «Tutto questo ci aiuta
a
mantenere vivo il ricordo». Debora dai primi giorni della sciagura
ha conservato tutti gli articoli apparsi sui giornali, aggrappandosi
alla tenue speranza delle pagine che parlano del padre e del
fratello. Le custodisce in un fascicolo al quale dice di essere
affezionata come a un ricordo: «E' il minimo che posso fare per mio
padre, lui ha fatto tanto per me. Certo abbiamo discusso tante
volte, l'ultima "litigata" l'abbiamo fatta per la macchina che
volevo comprare. Credeva di doverla pagare lui e anche se io gli
dicevo di no, non voleva firmarmi i documenti per farmi da garante.
Poi li firmò anche se non ho più potuto ordinare l'auto. Si
preoccupava se mangiavo, se rientravo tardi, chiamava anche dal mare
perché capitava
che
la
sera non ci incontravamo.
Che cosa posso dire adesso che non c'è più? Prima pensavo di essere
diventata grande, ora capisco che cosa vuoi dire davvero vivere la
vita».