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Freccia Nera: Lorenzo Serafini intento a "rimacchiare" le sue reti

 

 

sabato 14 ottobre 1995

 

 

Tanta generosità ma soltanto dai privati

di Mauro Mercuri

LA FAMIGLIA Serafini, ovvero come imparare a sopravvivere dopo la tragedia del Freccia Nera. Sono passati cinque mesi da quando Concetta Di Paolo ha visto il marito e il figlio trascinati via dallo stesso mare che aveva dato loro da vivere. La storia di Lorenzo e Giorgio Serafini da quel momento è diventata la storia di una sfortunata famiglia di marinai conosciuti da tutti e da tutti compianti. La vedova di Lorenzo e sua figlia Debora raccontano la loro storia e le difficoltà di una vita che deve continuare. Non vogliono parlare della perizia sull'incidente. Concetta, 62 anni e Debora, 25, preferiscono ricordare un marito e un padre che il 9 ottobre avrebbe compiuto 71 anni e del figlio Giorgio.

«L'ultimo giorno passato con loro», ricorda Debora, «è stato davvero felice. Noi il giorno prima della sciagura andammo alla comunione di mia nipote. Io quel giorno non me lo scorderò mai. Mio padre era talmente felice di stare con tutta la famiglia, con tutti i figli insieme. Perciò quella notte sono partiti, sono andati a lavorare tutti e due felici». Ma ai ricordi belli si sovrappongono quelli della tragedia.

«Torniamo presto»

«All'alba del lunedì», continua la vedova, «prima di partire erano contenti. Mi hanno detto queste parole: "Se prendiamo molto pesce torniamo verso mezzanotte-l'una, se prendiamo poco pesce torniamo addirittura martedì mattina". Per questo io ero tranquilla, la mattina dell'incidente, non mi sono preoccupata. Abbiamo chiamato, durante la notte con la radio del baracchino e non abbiamo avuto risposta, ma siccome abbiamo il baracchino che non arriva molto lontano, non mi sono preoccupata. Invece la mattina, quando vedevo ritornare le altre barche e loro no, mi sono allarmata. Sono andata alla Capitaneria verso le 9.30 per informarmi. Chiedevo agli altri marinai e tutti mi dicevano che non li avevano visti, non li avevano sentiti. Sono partiti subito i soccorsi da Giulianova, poi a mezzogiorno sono partiti quelli da Pescara e gli altri: Lorenzo lo abbiamo ritrovato poi il pomeriggio, verso le 3.30». Il resto della storia coincide con la cronaca, tuttora parzialmente confusa riportata dalla stampa giorno per giorno, mese dopo mese. E oggi come vive la famiglia Serafini? «La moglie di Giorgio non ha pensione», dice ancora Concetta, «vive grazie alle donazioni della gente. Assunta sta aspettando dei documenti dalla Capitaneria di Pescara per la pensione di vedova. Intanto si è iscritta alla lista delle vedove per avere un posto al Comune.

L'arte di arrangiarsi

Preghiamo per un posto comunale, ma ora è senza lavoro. Io e Debora ci arrangiamo, ma quella che ha più bisogno è mia nuora perché ha i figli piccoli. Io non posso nemmeno darle i pochi risparmi che abbiamo: gli interessi sono bloccati perché i libretti sono a nome di mio marito. Se uno muore i suoi beni vanno automaticamente ai figli. Mio figlio Giorgio non c’è più, i beni spettano quindi ai miei nipoti, ma sono minorenni e la madre sta aspettando di avere la patria potestà. Lorenzo quest'anno deve frequentare il terzo anno Ipias. E' andato qualche giorno a scuola, ma si è dovuto ricoverare. E' all'ospedale da quindici giorni perché deve fare una cura per le articolazioni. Cammina male, ha una specie di reumatismo. Ha solo 16 anni. Hanno detto che uscirà fra quindici giorni: ma non sta bene, in un mese è dimagrito quattordici chili. Lorenzo ha soprattutto problemi psicologici. Ha un carattere chiuso, da fuori non lascia trasparire niente, sembra sereno, ma rimette tutto dentro. Io mi sfogo piangendo, qualche volta, lui mai. Ha preso male la morte del padre. Diceva che si era salvato, che magari una nave di passaggio lo poteva sal­vare... Aveva un rapporto fortissimo con il padre. Spesso lo chiamava ancora "papino". Adesso ci sono molti amici che gli stanno vicino: l'ospedale è sempre pieno di ragazzi che lo vanno a trovare. C'è addirittura un amico di Napoli che ha conosciuto quest'estate e che lo va a trovare ogni sabato.

Lunghi silenzi

Però lui preferisce non parlare di quello che è successo, nemmeno con gli amici. Una volta mi sono permessa di dirgli su una certa cosa "tuo padre non avrebbe voluto". Lui è rimasto muto, di sasso. E io non mi sono più permessa». «Giorgia, la seconda, invece», continua Debora, «ha avuto una borsa di studio per frequentare il primo anno di ragioneria a Roseto. Si era iscritta a Teramo, ma poi, senza che noi chiedessimo niente, le hanno donato questa borsa e ora va a scuola a Roseto. Anche al piccolo Angelo, di un anno, gli è stata offerta la retta dell'asilo nido fino a dicembre». Tanta è stata la solidarietà della gente, dice la vedova di Lorenzo Serafini. «Ho conosciuto veramente tanta bontà, non me l'aspettavo dai giuliesi. Tanti, tantissimi ci hanno aiutato, soprattutto gente sconosciuta. In tanti sono venuti al funerale e anche di notte nella camera mortuaria per la veglia. Io ho rivisto persino dei lontani parenti di Bellante, dove sono nata, parenti che non avevo mai incontrato. E poi le personalità: ai funerali c’erano Cameli, Arboretti, Gerardini, anche se noi non l'abbiamo mai conosciuti. Quest'estate hanno fatto una festa e hanno ricavato dei fondi vendendo libri e altre cose, fondi che ci hanno donato spontaneamente. E sabato scorso c'è stata una gara di pesca al tonno. Hanno venduto il pescato e, senza che noi sapessimo niente, hanno pensato di darci il ricavato. Un giorno dovrò fare una lettera per ringraziare pubblicamente tutte le persone che ci hanno aiutato, anche con le offerte».

Grazie a tutti

«Abbiamo avuto più aiuti da persone sconosciute che dagli amici», commenta ancora Debora. «Tutto questo ci aiuta a mantenere vivo il ricordo». Debora dai primi giorni della sciagura ha conservato tutti gli articoli apparsi sui giornali, aggrappandosi alla tenue speranza delle pagine che parlano del padre e del fratello. Le custodisce in un fascicolo al quale dice di essere affezionata come a un ricordo: «E' il minimo che posso fare per mio padre, lui ha fatto tanto per me. Certo abbiamo discusso tante volte, l'ultima "litigata" l'abbiamo fatta per la macchina che volevo comprare. Credeva di doverla pagare lui e anche se io gli dicevo di no, non voleva firmarmi i documenti per farmi da garante. Poi li firmò anche se non ho più potuto ordinare l'auto. Si preoccupava se mangiavo, se rientravo tardi, chiamava anche dal mare perché capitava che la sera non ci incontravamo. Che cosa posso dire adesso che non c'è più? Prima pensavo di essere diventata grande, ora capisco che cosa vuoi dire davvero vivere la vita».

 

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